Neuromante – olio su tela – 100x110 cm – Sara Chiaranzelli 2017

Quest’anno ho partecipato su invito al 44^ PREMIO SULMONA 2017 – ‘Gaetano Pallozzi’ Rassegna internazionale di Arte Contemporanea – Edizione speciale per il Bimillenario Ovidiano, tenutosi presso il Polo Museale Civico Diocesano, dal 16 settembre al 21 ottobre 2017.

L’opera che ho presentato si intitola “Neuromante”, ed è un olio su tela dalle dimensioni 100x110 cm, realizzata quest’anno appositamente per questo evento. Ho voluto chiaramente rendere omaggio a William Gibson che con il suo romanzo omonimo è stato precursore dei nostri giorni immaginando la dipendenza da internet fin già dal 1984. Torna per me la figura di Medusa che fa dei suoi tentacoli un insieme di connessioni, ramificazioni del Tempo. Le altre donne – non connesse – non vivono, come se oggi la visione occidentale non possa contemplare una vita senza mass-media: dormono in piedi nonostante siano vestite di occhi svegli e di apparenza.

Il seguente testo di critica è stato scritto dalla storica dell’arte aquilana Francesca Massaro.

Nella società contemporanea l’utilizzo di internet sembra essere diventato elemento indispensabile per il consueto svolgimento della vita quotidiana, principale strumento di comunicazione e di interazione sociale tra individui anche culturalmente e fisicamente

distanti tra loro. L’evoluzione del famoso ARPANET (rete di computer realizzata nel 1969 dall’agenzia del Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti al fine di sviluppare nuove tecnologie militari) ha portato al compimento di un vero e proprio microcosmo dove si oltrepassano barriere fisiche, culturali ed emozionali; lo stesso acronimo che utilizziamo nel digitare un sito internet “www”, ovvero World Wide Web, indica non a caso una “rete di ampiezza mondiale”.

Pochi semplici click consentono non solo l’adempimento di necessità pratiche, come mandare un’email o rispondere ad un annuncio di lavoro, ma anche  l’ingresso in una piazza virtuale dove identità reali si mescolano ad identità fittizie. Nel cosiddetto  cyber spazio non esiste dimensione temporale o fisica pertanto il fascino di poter essere “chiunque, ovunque” diventa un sottile gioco seduttivo, che portato alle estreme conseguenze, può avviare un allarmante processo di spersonalizzazione. Essere utente di un social network può dare l’illusione di avere grandi capacità relazionali, di far parte di un gruppo esteso di amici, ma il dato reale conferma l’isolamento dalle relazioni affettive; la trasmissione di messaggi non è più tipicamente umana, basata sul binomio uomo-uomo bensì ibrida, basata sull’interconnessione uomo-macchina.

Un recente studio statunitense, The World Unplugged, condotto  su un campione di studenti universitari provenienti da dieci paesi diversi, ha messo in luce l’inquietante fenomeno del “vuoto digitale”: l’allontanamento da internet per ventiquattro ore ha provocato nella gran parte dei ragazzi stati di ansia, insonnia e malesseri fisici del tutto analoghi a quelli causati dall’astinenza da alcool e da sostanze stupefacenti.

L’opera Neuromante dell’artista aquilana Sara Chiaranzelli, esposta dal 16 Settembre al 21 Ottobre al 44^ Premio Sulmona 2017– ‘Gaetano Pallozzi’ Rassegna internazionale di Arte Contemporanea – Edizione speciale per il Bimillenario Ovidiano, si pone come manifesto di denuncia di questa, ormai diffusissima, dipendenza psicologica.

Il titolo è già di per sé emblematico: vuole essere infatti un omaggio all’omonimo romanzo di William Gibson, scritto nel 1984, pietra miliare del genere fantascientifico del Cyberpunk. Lo scrittore, rivoluzionario rispetto ai tempi, immagina un mondo parallelo, il Cyber-spazio, in cui gli individui hanno componenti umane e componenti artificiali che agiscono in stretta interdipendenza tra loro e che influiscono in maniera determinante sull’esistenza del singolo.

Anche il neologismo “neuromante” racchiude l’intera filosofia di Gibson. E’ infatti una crasi tra i vocaboli “neurone” e “negromante” (stregone che con incantesimi e arti divinatorie invoca gli spiriti e predice il futuro).

Il mondo digitale pertanto può diventare una sorta di subdola malia che porta l’essere umano a rimanere intrappolato nei  complessi meccanismi comunicativi del web, riversando in essi il fulcro della propria identità.

Nella tela, non a caso, vediamo un gruppo di donne apparentemente dormienti, accasciate su se stesse, senza linfa vitale; soltanto una tra esse ha gli occhi aperti e lo sguardo dritto verso lo spettatore. Dalla sua testa si diramano particolari tubi colorati, come se la sua mente fosse collegata via cavo ad altri sistemi con cui scambiare informazioni. Particolari connessioni che sembrano avere l’esclusivo potere di animare la ragazza, di stabilire il ritmo del tempo e quindi della sua stessa esistenza.

L’artista nel realizzare tali particolari ha voluto ispirarsi alla chioma di Medusa, una sua opera precedente che traspone in chiave moderna la figura della mitologica Gorgone.

Anche tale parallelismo pone inquietanti spunti di riflessione: nella mitologia classica, Medusa, dai capelli di serpente, pietrifica chiunque incroci il suo sguardo, riducendolo ad uno stato di totale immobilità e sudditanza. Allo stesso modo, sembra dirci l’autrice, la forza manipolatoria della tecnologia assoggetta la persona a schemi comportamentali, ad ideologie di massa, che la costringono gradualmente ad una spersonalizzante omologazione. In tal senso lo sguardo della donna è sì vigile, ma comunque vacuo, perso nel vuoto, come se quei tentacoli gestissero le sue idee al pari dei fili di un burattinaio.

Addirittura chi non è connesso a questa rete comune è in uno stato dormiente come evidenziano le altre donne della tela; i  loro occhi sono chiusi, sono letteralmente scollegate dalla realtà.

Paradossalmente lo sguardo non è più attributo del loro essere ma del loro apparire; occhi di varia forma infatti decorano i loro abiti a simboleggiare un interesse puramente fittizio per la realtà; un’ostentazione di colori e simboli volto a coprire il vuoto interiore che le caratterizza.

La veste blu della donna di destra, in particolare, presenta occhi di pavone, simbolo per antonomasia di vanità e ostentazione. Il mondo virtuale, infatti, permette di costruire l’immagine perfetta di se stessi, di ottenere un utopico quanto sterile consenso universale, nascondendo le proprie paure e i propri difetti dietro il rassicurante monitor di un computer.

L’opera Neuromante traduce in una cruda istantanea a colori il drammatico sopravvento della tecnologia nell’odierna società di massa; all’abbattimento dei limiti geografici e temporali è corrisposto l’innalzamento di muri interpersonali, al dinamismo della comunicazione cibernetica si contrappone il ristagno di quell’universo di emozioni che è l’Umanità.        Francesca Massaro